L'intervista

sabato 30 Settembre, 2023

Carmen Consoli, gran finale ai Suoni: «Oggi il rock non ha spazio per emergere. La musica pop? Mahmood, Elodie, Annalisa sono bravi»

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La «cantantessa», come lei stessa si definisce, si esibirà nella giornata conclusiva del festival, oggi alle 12, in località Camp Centener, nei pressi di Madonna di Campiglio

La musica indipendente, la parità dei diritti e l’importanza della cultura. Ai Suoni delle Dolomiti arriva Carmen Consoli. La «cantantessa», come lei stessa si definisce, si esibirà nella giornata conclusiva del festival, domani alle 12, in località Camp Centener, nei pressi di Madonna di Campiglio. Per l’occasione la cantautrice catanese ha preparato un live set interamente in acustico, formula che maggiormente si presta a dialogare con l’ambiente.
Carmen Consoli, il suo sarà il concerto di chiusura de I Suoni delle Dolomiti, cosa la intriga di più di questa esperienza?
«È una fusione tra musica e natura, ciò che più amo del territorio trentino è la natura che si mischia con la parte urbana e la domina. Ovviamente suonare in un contesto del genere porta a doversi confrontare con questa natura. Le frequenze musicali si riverberano non solo sugli esseri umani ma anche sulle foglie, i prati, le rocce e l’ambiente circostante. Suoneremo in acustico, cercando di esaltare al massimo musica ed espressione».

Il suo ultimo disco è «Volevo fare la rockstar» del 2021, Quando uscirà un nuovo album?
«Avrei un disco pronto con canzoni che mio figlio, parenti ed amici conoscono. Purtroppo, però, un mese fa è venuto a mancare Toni Carbone, che collaborava con noi e ancora non ce la sentiamo di andare in studio a registrare i brani che avevamo scritto con lui».

Nel 1996, anno in cui esordiva a Sanremo, In Italia c’era un forte fermento musicale. Si affermava l’indie rock, oltre a lei c’erano gruppi come Afterhours, Marlene Kuntz, Csi. Oggi il mercato musicale sembra un po’ appiattito e anche l’indie è diventato pop. Cos’è successo?
«Secondo me c’è da distinguere tra musica mainstream e indipendente. Io ho sempre vissuto in una bolla particolare. Negli anni ‘90 in Italia, parlando di musica pop si proveniva da cose più imbarazzanti di quelle che si sentono oggi. Il mainstream credo sia meglio oggi. Artisti come Lazza, Mahmood, Elodie, Annalisa sono tecnicamente più bravi dei loro analoghi dei miei tempi. Il mainstream dell’epoca non arrivava a questi livelli. C’era, però, un’alternativa, la musica indipendente, cui veniva dato uno spazio che oggi non esiste più. Alle band che fanno rock non viene data possibilità di suonare ed emergere in Italia. I Maneskin ci hanno provato ma hanno avuto successo in tutto il resto del mondo prima che in Italia. Oggi c’è molta elettronica che non disdegno ma sento la mancanza degli strumenti. Ogni tanto guardo gli amplificatori e mi chiedo perché non li facciamo più urlare. Ad esempio, in un pezzo come “Cenere” di Lazza, noi boomer avremmo messo delle chitarre che spingono alla Rem».

E perché sono spariti rock e distorsioni?
«Mancano i locali che facciano suonare questo tipo di musica. Si chiedono altri generi, oppure soltanto le cover, spesso gli artisti non vengono nemmeno pagati. Una volta gli artisti che non andavano in radio avevano la possibilità di suonare dal vivo. Faccio l’esempio della mia carriera che è stata lenta e graduale. Con “Confusa e felice” mi buttarono fuori da Sanremo alla prima serata, perché nel brano c’era una distorsione che risultava troppo pesante per molti. Seguì poi un album, “Mediamente Isterica”, che fu considerato da molti un disastro discografico. Però la gente dal vivo veniva a sentirlo e si facevano bei numeri. C’era anche il tour support, che oggi non esiste più. Si pensava, cosa incredibile (ride) che l’attività live avesse a che fare con la musica. Un altro motivo è che negli ultimi anni ci siamo allineati tanto con il sud America. Me ne sono accorta in un viaggio lì, sembrava di ascoltare le nostre canzoni in lingua spagnola. Nel 2000, invece eravamo più allineati con la musica che veniva dall’occidente e dagli Stati Uniti. Sono tornati anche tastiere e programmi al computer, mentre per noi la più grande guerra era contro il tastierume degli anni ’80».

E dello stato odierno del femminismo cosa pensa? Anche se non le piacciono gli «ismi».
«Dobbiamo superare il gap di diritti. Le uniche situazioni in cui le donne hanno diritti concreti sono divorzio e affidamento dei figli, in cui spesso vinciamo anche quando non sarebbe giusto. Però, ci sono donne con lauree che si trovano davanti uomini con meno titoli e competenze. Del resto, io credo che non debbano essere solo le donne ad andare in maternità ma anche i padri ad andare in paternità, così non sarebbero solo le madri a rischiare il posto. Serve un’azione rieducativa sia sulle nuove che sulle vecchie generazioni. Anche nella musica, si usa la libertà nella direzione sbagliata e vedo molta violenza verbale, poco rispetto per le donne. C’è una mortificazione generale della cultura. Noi andavamo in gruppo a vedere le mostre di Andy Warhol. Studiavamo la storia e criticavamo il revisionismo. Volevamo sapere un po’ di tutto per non fare brutte figure e veicolare i messaggi in maniera precisa. Oggi non si ha senso critico, tutto viene dato per scontato e non si approfondisce nulla».